Quante volte abbiamo letto in etichetta extra vergine “a bassa acidità”! Oggi un po’ meno, perché un legislatore inficiato da condizionamenti ideologici sta cercando di sottrarre alla storia una felicisssima quanto convincentissima leva di marketing.
La regolamentazione comunitaria giustamente impone che oltre al grado di acidità libera siano indicati in etichetta anche l’indice dei perossidi, il tenore in cere e l’assorbimento nell’ultravioletto – come è giusto che sia!
Sono comunque aspetti piuttosto complessi e non facili da spiegare in poche battute a un consumatore che ignora le più elementari conoscenze di chimica dell’olio, ma restano elementi in ogni caso utili affinché non si inganni il consumatore con l’attrattiva della sola acidità libera.
Sul tema si sa poco. Molti confondono l’acidità libera con il contenuto in acido oleico. Non mancano articoli, anche in riviste di grande tiratura, in cui tale confusione viene consacrata ogni volta da articoli che lasciano trasparire scarsa o nulla conoscenza della materia trattata.
Il contenuto in acido oleico è cosa ben diversa dall’acidità libera. Sembra un dato acquisito, ma non lo è ancora dai non addetti ai lavori. L’acido oleico è presente in un olio da olive nell’ordine del 55-81%, in base alla natura specifica e alla provenienza degli oli. Più alto è tale valore, meglio è per la qualità complessiva.
Altra cosa invece è l’acidità libera di un olio: questa, per legge, viene espressa in acido oleico e non può essere oggi, con le attuali norme vigenti, superiore 0,8 g. per 100 g.
Cosa si intende esattamente per acidità libera? Si tratta della quantità di acidi organici liberati in seguito a un processo di alterazione di natura idrolitica. Più è basso tale valore, meglio è per l’olio.
Attenzione, però: nessuno può avvertire l’acidità libera all’assaggio. Quando di un extra vergine impropriamente si dice ch’è acido, in realtà è solo piccante.
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La foto di apertura è di Salvatore Scuderi