Mario De Angelis – una vita trascorsa all’interno del fu glorioso Istituto sperimentale di elaiotecnica di Pescara (Città Sant’Angelo, in verità), quando lo Stato investiva ancora in ricerca e credeva nell’olivicoltura nazionale – ha pubblicato domenica scorsa alcune foto sul proprio profilo facebook, in cui campeggiano in bella mostra bottiglie mignon d’olio extra vergine di oliva, ben abbigliate, con l’invito a farne corretto impiego nei ristoranti. Lapidaria la mia risposta: finché non ci sarà una risposta etica da parte della ristorazione, nessuna iniziativa potrà mai avere efficacia. Alla base del malcostume di quanti, nel proprio ristorante, non accolgono oli di qualità, c’è un irrisolto problema culturale. Non è dunque un problema di prezzo, alla forsennata ricerca del riasparmio ad ogni costo, anche solo di pochi centesimi. E’ solo povertà culturale, mi spiace dirlo, ma è così. Io amo i ristoratori, mi fermo di frequente da loro perché mi piace mangiar fuori, ma il rispetto – dico: il rispetto verso i produttori, nonché, fattore non meno essenziale, il rispetto verso le materie prime e gli avventori di un ristorante – non può mai venir meno. Io rispetto i ristoratori, perché lo meritano. E in una logica alquanto elementare, perché i ristoratori, tanto rispettati, non debbono a loro volta essere rispettosi dei produttori e dell’olio che questi producono? In fondo mon è richiesta altro che reciprocità, nulla di diverso che la reciprocità. No, non sono le confezioni monodose o altre invenzioni a risolvere l’irrisolto problema culturale. Di buoni esempi, quanto a iniziative tese a favorire e venire incontro ai ristoratori ve ne sono, e tante anche: cito le monodosi pratiche e funzionali di Pantaleo o Petrini, di cui ho ampiamente scritto, ma senza l’educazione al valore del rispetto, sia ben chiaro, non esistono soluzioni. Credetemi. Educare, educare, è un verbo ormai così in disuso.